Archeometallurgia di montagna al sito di Acqua Fredda

Con la sua fonderia preistorica della tarda età del Bronzo, il sito di “Acqua Fredda” al passo del Redebus, nel Comune di Bedollo, è una delle aree archeologiche musealizzate più alte e importanti d’Europa.

di Stefano Albergoni

Poco distante dal passo del Redebus, a cavallo tra l’altopiano di Pinè e la Valle dei Mocheni, passando in auto è difficile non imbattersi nel sito archeologico di Acqua Fredda, dal nome di una sorgente poco distante (di cui immaginiamo la temperatura media nel corso dell’anno). E vale proprio la pena fermarsi per visitare questa particolarissima area archeologica. Venuto casualmente alla luce nel 1979 nel corso dei lavori di ampliamento della strada che porta al passo, il sito è stato indagato a partire dal 1980 dall’allora Ufficio beni archeologici (ora Soprintendenza), per oltre 15 anni, dando il via in modo organico a un nuovo capitolo dell’archeologia trentina, quello dell’archeometallurgia.

Le ricerche portarono al rinvenimento di una batteria di forni per la produzione del rame funzionanti tra il XIII e l’XI secolo a.C. Sono nove forni quadrangolari di mezzo metro di lato, mancanti della parte superiore e del lato verso valle, ma complessivamente in buono stato di conservazione. Presso i forni furono rinvenuti frammenti di grandi ugelli in ceramica e resti di pali, travi e tavole, forse pertinenti a coperture o ad altre strutture legate alla particolare attività, nonché diverse macine in pietra per la triturazione del minerale o delle scorie ancora ricche di parti metalliche. Poco a valle, nel pianoro dove la sorgente dell’Acqua Fredda creava una piccola palude, fu anche individuata una discarica di residui di lavorazione: ben 2.200 mq di superficie per una profondità in alcuni punti di 2 metri.

Acqua Fredda, Passo del Redebus, foto Ornella Michelon
Acqua Fredda, Passo del Redebus, foto di Ornella Michelon

Per individuare i giacimenti, i nostri antenati metallurghi partivano dalla superficie, osservando la colorazione delle rocce contenenti i minerali di rame e la particolare vegetazione ad essi associata, ad esempio la “silene inflata”. Nella miniera si usava il fuoco per dilatare la pietra e frantumarla, e in seguito picconi e martelli in pietra, corno o metallo per attaccare i filoni metalliferi.

Tutto questo si desume dagli esempi più vicini a noi, delle miniere nord tirolesi e salisburghesi, perché in Trentino le miniere preistoriche, forse in buona parte cancellate dall’intensa attività di età medievale e moderna, non sono ancora state individuate. Una volta estratto, il minerale veniva portato fuori dai cunicoli con cesti o gerle. In superficie veniva fatta una prima cernita, per eliminare le parti di roccia sterile. Le parti ricche di minerali di rame venivano frantumate utilizzando macine e martelli in pietra ed ulteriormente “arricchite” grazie a lavaggi in specchi d’acqua o torrenti utilizzando setacci o tavole inclinate: le parti ricche di rame si depositano perché più pesanti, mentre lo scarto veniva lavato via. La fine sabbia così “arricchita” doveva poi subire un primo trattamento al fuoco all’aria aperta detto “arrostimento” per eliminare lo zolfo sotto forma di gas. Il trattamento in forno del minerale viene chiamato “riduzione” o “smelting”. L’alta temperatura (1200°C) ottenuta grazie a carbone di legna e l’aggiunta di quarzo, permettevano di separare il rame da tutte le altre componenti, in particolare dal ferro. Il risultato di tale processo è da un lato il rame ancora impuro e dall’altro le scorie di quarzo e ferro. Le scorie più grossolane contengono ancora rame. Per recuperarne il metallo venivano rimacinate e sottoposte nuovamente a lavorazione. L’accumulo di sabbia di scorie rivenuto a valle dei forni è la testimonianza di questa pratica.

Acqua Fredda, foto di Ornella Michelon
Acqua Fredda, foto di Ornella Michelon

All’epoca in cui erano in funzione i forni di Acqua Fredda, le comunità umane nella nostra regione vivevano in villaggi dislocati nel fondovalle, su terrazzamenti o su alture, soprattutto in punti strategici per il controllo delle vie di comunicazione. E proprio nel periodo di massima attività estrattiva e fusoria, che assunse dimensioni addirittura proto-industriali, comparve attorno al Bronzo Finale (XII a.C) la Cultura di Luco, diffusa in Trentino-Alto Adige, Tirolo, Engadina. L’oggetto che la caratterizza è una particolare brocca o boccale in ceramica che doveva avere anche un forte significato rituale, dato che si rinviene frequentemente in aree destinate a pratiche cultuali, probabilmente per roghi votivi.

 

Acqua Fredda. Disegno di Livio Stefan
Acqua Fredda. Disegno di Livia Stefan

L’allestimento del sito archeologico di Acqua Fredda, opera degli architetti Ugo Bazzanella, Renato Fornaciari ed Edy Pozzatti, merita uno sguardo attento e accompagna gradevolmente il pubblico nella visita dell’area con le strutture degli antichi forni, forse tra i più completi e meglio conservati in alta quota in tutta Europa.

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ll sito Acqua Fredda si può visitare liberamente tutto l’anno.