di Stefano Albergoni
La voce del cervo, scriveva Guido Castelli, naturalista trentino d’inizio Novecento, varia secondo il sesso e le circostanze: quando è innamorato grida, mugghia, tuona, sibila.
Castelli utilizza addirittura quattro verbi per descrivere questo verso e i suoi toni, a dimostrazione di quanto sia ineffabile ciò di cui stiamo parlando. Un’esperienza sinestetica, secondo alcuni partecipanti alle nostre esperienze; primordiale, secondo altri. Comunque incredibilmente suggestiva. E antica.
Di fatto è difficile raccontare cosa si prova e quali emozioni si scatenino in noi uomini contemporanei, avvezzi alla tecnologia e alla complessità, nel compiere la semplice azione di una camminata in autunno, di notte, alla ricerca e all’ascolto di quel verso, di quei suoni, di quelle presenze animali forti e inquietanti.
Ma proseguiamo il racconto del bramito con le parole di Castelli (tratte da Il Cervo Europeo):
“Nelle chiare e fresche notti autunnali, come pure sull’imbrunire e all’alba, il maschio richiamerà le femmine col suo possente urlo d’amore, che può venire espresso in un robusto oha, simile a quello di un toro irritato, allettandole e mettendo in fuga i rivali più deboli. Tale il suo tormentoso passatempo dal tramonto all’alba. Sceglie per i suoi bisogni riproduttivi gli spiazzi ove regni sovrana la quiete, in vicinanza di prati contornati dal folto, che formano un chiaro e suggestivo ritrovo.
Il Cervo raduna nel campo degli amori da 5 a 15 femmine e se le tiene rigorosamente dappresso. Prepara il suo piano di conquista con trepida ansia ed è sempre pronto a combattere per la vita e per la morte contro tutti i rivali pur di potere dar sfogo ai suoi cocenti istinti, come natura gli suggerisce.”
Le immagini sono state scattate di notte, con termo camera, dalle guide del Parco Nazionale dello Stelvio (settore trentino)