di Michele Moser
Con le fotografie di Luca Chistè e un testo di Michele Moser, vi sveliamo il mistero della bontà degli asparagi bianchi di Zambana.
Le prime notizie riguardanti la coltivazione dell’asparago in Trentino risalgono ai primi anni dell’Ottocento (1811-1812) allorché, in seguito all’incorporamento del Trentino nel Regno Italico a opera di Napoleone, furono pubblicate sulla rivista “Annali dell’Agricoltura del Regno d’Italia” alcune memorie d’autore circa lo stato dell’agricoltura locale. In tali memorie si fa riferimento al “sapore eccellente degli asparagi coltivati nei terreni sabbiosi lungo il fiume Adige”.
La qualità dell’asparago coltivato a Zambana è sempre stata riconosciuta. A determinarla sarebbero due caratteristiche della zona: il particolare terreno sabbioso, frutto di confluenze fluviali e alluvioni (il nome di alcune campagne deriva proprio da limoia, limo, la fanghiglia fertile trasportata dalle alluvioni) e la temperatura mite determinata dall’effetto di protezione svolto dalla montagna, la Paganella, che sovrasta la zona.
Sappiamo che fino alla seconda metà dell’800 l’area dove si trovano attualmente le coltivazioni era caratterizzata per lo più da acquitrini e terreni paludosi, che poco spazio offrivano alla coltivazione estensiva. L’attività agricola era limitata e per lo più di sussistenza, mentre per l’economia locale erano più importanti le attività di allevamento e pastorizia, con l’annessa produzione lattiero casearia, che si sviluppava sia nei terreni limitrofi al paese sia nei numerosi pascoli che da secoli gli abitanti di Zambana possedevano in Paganella.
I terreni paludosi favorivano spesso la comparsa di malattie quali la malaria e in generale condizioni ambientali malsane. L’inospitalità e la povertà che caratterizzarono la zona fino ai lavori di bonifica realizzati nella seconda metà dell’800, si possono dedurre anche dal numero di abitanti del paese che fino ad allora non superò mai le 200-300 unità.
I lavori di bonifica spostarono la confluenza del torrente Noce dalla zona di San Michele a quella attuale e fornirono nuovi terreni coltivabili, che fin da subito si dimostrarono particolarmente fertili e adatti alla coltivazione dell’asparago. (**)
Dalle testimonianze degli anziani del paese si apprende che l’asparago era sicuramente coltivato nei campi di Zambana già verso la fine dell’Ottocento. Si trattava, fino alla prima Guerra Mondiale, di una produzione ridotta perché la campagna veniva allora utilizzata primariamente per il pascolo del bestiame.
Nei primi decenni del ‘900 si ricordano solo pochissimi produttori in grado di arrivare a una ventina di chili al giorno, mentre la maggior parte dei contadini si limitava a poche strisce di terreno (andane) di asparagi. Solo con la seconda metà del ‘900 l’asparago, accanto ad altri prodotti, inizia a costituire una risorsa importante per il sostentamento di numerose famiglie di Zambana.
Come per tutte le vicende personali e collettive che hanno interessato Zambana anche per la coltivazione degli asparagi si può parlare della frana come di un evento spartiacque tra un’epoca ed un’altra. La frana caduta a più riprese nel 1955 e nel 1956 costrinse gli abitanti a trasferirsi nell’attuale località di Zambana Nuova, sulla sinistra Adige, e ad abbandonare antiche consuetudini. Tuttavia, anche nei momenti più difficili e incerti dello sfollamento, e forse proprio per far fronte al rischio di uno sradicamento definitivo, i zambanoti non hanno mai abbandonato completamente campi e attività agricole.
Al di là, dunque, di motivazioni strettamente economiche, anche in seguito all’evento franoso, la coltivazione degli asparagi lentamente riprese. Le caratteristiche di produzione, di commercializzazione e consumo degli asparagi stavano però per cambiare, in relazione alle grandi trasformazioni che stavano caratterizzando la società e l’economia trentina e italiana fra gli anni ’50 e ’60.
Il consumo degli asparagi divenne sempre più di massa e sotto la spinta del mercato si giunse, attraverso l’utilizzo di nuove qualità di piante, a sviluppare nuove tecniche di produzione capaci di garantire maggiori rese.
Negli ultimi trent’anni, nonostante non siano mancate congiunture economiche negative, sono costantemente aumentati i coltivatori, le superfici coltivate e la quantità di asparagi prodotta. Ciò grazie anche ai lavori di rinforzo degli argini dei fiumi, che hanno ridotto i rischi di inondazione, rendendo le banchine del fiume Adige un terreno più sicuro e meglio utilizzabile per la coltivazione di questa pianta.
Come nel passato, ancor oggi la coltivazione dell’asparago necessita di ridotti trattamenti. La copertura con teli in nylon per uso alimentare è una novità recente che consente di raccogliere il prodotto a giorni alterni mentre un tempo si raccoglieva al mattino e alla sera per evitare che l’esposizione diretta al sole potesse aumentare la quantità di scarto.
Ancor oggi, pur essendo quasi tutta la produzione destinata alla vendita, la maggior parte dei coltivatori di Zambana lavora piccoli appezzamenti e spesso il reddito che ne deriva è solo integrativo di un reddito agricolo dato principalmente da altre colture (mele e vigne) che spesso, a sua volta, è integrativo di un reddito principale che deriva dall’industria o dal terziario.
Fino agli anni ’50 il prodotto era considerato una prelibatezza destinata a un cliente spesso cittadino e benestante, disposto a pagarlo bene. La produzione veniva venduta quasi interamente, perché in epoche di difficoltà economiche garantiva alle famiglie produttrici una disponibilità immediata di denaro. Di certo erano molto pochi gli asparagi consumati direttamente dagli abitanti di Zambana.
La maggior parte dei coltivatori di asparagi di Zambana erano piccoli o piccolissimi e la vendita avveniva per lo più presso la propria abitazione oppure in alcune piazze della città di Trento, in particolare piazza Garzetti. Con il tempo, la Centrale Ortofrutticola di Trento divenne il luogo di riferimento in cui si portavano gli asparagi. In questi mercati si intrecciavano conoscenze con fruttivendoli o ristoratori, per cui parecchi zambanoti finirono per conferire il loro prodotto direttamente ai commercianti operanti in città e nelle immediate vicinanze.
Ci fu anche chi si ingegnò in modo particolare nella distribuzione, portando il raccolto giornaliero non soltanto a Trento ma anche nei negozi e nei ristoranti della provincia di Bolzano. Sopravvive una locandina stampata a colori per la promozione dell’asparago che risale agli anni 1948-50, realizzata dalla ditta Pilati, che testimonia una certa cura nel marketing.
Per circa 30 anni la storia di Zambana nel ventesimo secolo fu caratterizzata oltre che dalla produzione di asparagi anche dalla presenza della Funivia che la collegava a Fai della Paganella. La funivia operò dal 1925 fino al 1955, l’anno della caduta della frana.
Tramite il collegamento di un servizio di autocorriere la funivia consentiva a molti turisti che partivano da Trento di raggiungere in poco tempo l’altipiano della Paganella. In un’epoca in cui le strade erano scomode e poche le automobili, la funivia ha sicuramente contribuito al primo sviluppo turistico di questi luoghi.
La funivia percorreva il tratto Zambana–Fai in circa 12 minuti. Un servizio di autocorriere collegava piazza Dante a Trento con Zambana, dove, dopo circa 5 minuti dall’arrivo, partiva una corsa della Funivia per Fai. Diventava naturale, per i numerosi turisti che si recavano in Paganella, fermarsi a Zambana nei periodi primaverili per gustare gli asparagi. A volte la prima metà delle escursioni era un pranzo di asparagi a Zambana, a cui si univa una scampagnata in Paganella. Sono molti gli anziani che ricordano la gente di passaggio nel vecchio paese alla ricerca di asparagi o di pesche o altri prodotti da acquistare e portarsi a casa dopo una gita sull’altopiano.
La funivia e gli asparagi avevano favorito anche il nascere di alcuni esercizi pubblici, che per una popolazione che nel 1921 era di circa 450 unità, non erano pochi: l’Albergo Paganella, il Bar alla Funivia, la Trattoria Bernardi, l’Osteria Paganella.
Negli ultimi anni la produzione di asparagi a Zambana ha iniziato a soffrire. Difficoltà di vario genere stavano per metterne in dubbio la soppravvivenza. Da un lato la lusinga, per i contadini, di produzioni meno faticose e più redditizie (come la vite e la mela), dall’altro, gli effetti della globalizzazione con la concorrenza di asparagi provenienti da Spagna, Grecia, e perfino da Cina e Perù.
La produzione dell’asparago bianco di Zambana è ridotta e di elevata qualità, frutto delle peculiarità pedoclimatiche della zona e del faticoso lavoro artigianale dei contadini, tramandato da generazioni. Senza un’adeguata opera di valorizzazione e di tutela, in grado di consentire al consumatore di apprezzarlo e riconoscerlo per qualità e peculiarità, l’asparago di Zambana non può assolutamente competere con produzioni di tipo industriale, a minor prezzo e a diffusione capillare nei supermercati.
La forte connessione della produzione di asparagi con il territorio e la storia del nostro paese hanno indotto il nostro Comune ad avviare un percorso che ha consentito di giungere nel 2008 alla realizzazione del marchio comunale DE.CO. e nel corso del 2009 a favorire la nascita di un’associazione di produttori che si è fatta carico di promuovere il marchio e la sua filosofia (a questo proposito ricordiamo il disciplinare di produzione sviluppato assieme ai coltivatori, reperibile presso il Comune e tramite i suoi mezzi di comunicazione).
Accanto ai produttori e all’amministrazione comunale si impegnano in quest’opera di valorizzazione e difesa dell’asparago tutte le associazioni locali, a partire dalla Pro Loco. Tutti stanno collaborando per promuovere questo prodotto attraverso manifestazioni tradizionali iniziative più innovative.
Ai primi segnali di primavera, la gente di Zambana guarda verso i campi del vecchio paese e per molti vi è ancora la necessità di pensare ai preparativi dei campi per la prossima produzione. Passeggiare lungo le rive del Noce e dell’Adige e vedere i campi in produzione e i contadini impegnati nella raccolta è una delle più belle emozioni della primavera a Zambana. Un piacere per la vista, per l’olfatto e la memoria, che ben presto lascia lo spazio a un desiderio forse più prosaico, ma non meno rilassante: quello di sedersi attorno a un tavolo per gustare con famigliari e amici questo ortaggio prelibato, che non a caso un tempo era pensato come cibo per soli re e nobili.
Note
(*) Questo testo, che è stato pubblicato come introduzione del volume fotografico “Le mani nella terra”, di Luca Chistè (ed. Ambiente Trentino, introduzioni di Michele Moser e Pietro Nervi), deve molto a un lavoro di ricerca svolto nel 2006 dal Comune di Zambana in collaborazione con la Provincia autonoma di Trento, dove vennero raccolte le testimonianze orali di coloro che vissero nell’antico paese di Zambana prima e durante l’evento franoso del 1956.
(**) A pagina 12 del suo “La porta delle Dolomiti. Zambana-Fai-Paganella” (1929), Antonio Pranzelores scrive: “…qui stagnava un groviglio di acquitrini e paludi, e la gente di Zambana soffriva di febbri periodiche, già regno della malaria e della svariata fauna palustre (in località le Pasqualine nidificavano spesso le anitre selvatiche, i germani), mentre la gente di Zambana soffriva le febbri periodiche e perdeva i denti ancora nella giovine età, morendo di un male speciale (i moriva sgionfi, morivano gonfi).” E ancora: “…dopo una sapiente opera di drenaggio a mezzo di una rete di fossi e di canali, è diventata tutta un vigneto a cultura intensiva intermezzato qui e lì da frutteti e da filari dei famosi asparagi zambanotti, contorno assai ricercato pei succulenti piatti di capretto, delizia della stagione primaverile.”