Idiomi che parlano al cuore: il Noneso

di Gino Ruffini

Le parlate cambiano. L’uso le modifica. Vi proponiamo una riflessione sul caso del Nònes o Noneso; ma anche Anaunico, oppure Nonese, che del Ladino costituirebbe una variante. Un’occasione per richiamare la memoria, stimolare la curiosità, riflettere sul possibile divenire delle lingue e dei dialetti.

Molto si è scritto sulla parlata della Valle di Non. Sapienti dispute si sono attivate per dare origine e smalto a questa espressione verbale. E studiosi illustri si sono avvicendati in ricerche, dibattiti e confronti, spaziando dagli ambiti vallivi sino a quelli delle nazioni confinanti, ma anche oltre, in quelle oasi ove il Nonese cristallizza, per sparire in tempi brevissimi, addirittura generazionali.

Al nostro Lettore vorremmo offrire l’occasione per richiamare la memoria, stimolare la curiosità, invitandolo a fare un passo in avanti con noi, per riflettere sul possibile divenire delle lingue e dei dialetti.

Il punto. Agli inizi del secolo, quando nella Scuola l’Italiano incominciava faticosamente a tradurre il dialetto e il Francese consentiva di “girare il mondo”, già il Nonese “volava alto” per incontrare conferme di rango.

Qualche decennio appena e gli afflati prendevano vigore. L’Italiano guadagnava spazi in campo nazionale, il Francese li cedeva a favore della lingua inglese, mentre il Nonese, già “inquinato” dal dialetto zevìl trentino, apriva le porte alla lingua italiana.

Siamo appena giunti nel terzo millennio e già si scrutano gli orizzonti, le economie, la produttività dell’Oriente estremo per individuare idiomi vincenti. Parlate inconsuete per gli Occidentali, che tuttavia si imporranno per conquistare i mercati. Lingue che già si insegnano per preparare gli operatori alle complesse relazioni internazionali.

Gli effetti della globalizzazione si fanno già sentire dunque. Sia sul ridimensionato Francese, sia sull’Inglese che “avvicina il mondo”, sia sulla “insostituibile” lingua di Dante.

Questi idiomi diverranno nel medio-lungo periodo Lingue minoritarie? Non lo sappiamo. Ma dei dialetti, del Nonese che a noi preme, che ne sarà?

Filogenesi. Il dialetto della Valle di Non, com’è noto, costituisce l’espressione di una popolazione di circa trentamila locutori; meno del dieci per cento della popolazione regionale residente. Taluno vorrebbe aggiungere i parlanti sparsi nel mondo che spostano appena il peso, il potere contrattuale della parlata.

Il Nonese, in quanto idioma, ovvero espressione parlata e scritta, non è riconosciuto ufficialmente dallo Stato; sia come lingua tout-court, sia come lingua minoritaria. È un dialetto e come tale non può godere dei finanziamenti pubblici atti a sostenerne l’insegnamento. Grande è il rammarico degli studiosi che di esso si sono occupati e che vorrebbero il Nonese collocato al rango di lingua.

Nell’ufficialità, dialetto è e rimane, giusta la normativa vigente (legge 489/1999), giusta la codifica ISO che tende a colmare le lacune della prima.

Sono numerose le tesi e i sottili distinguo che hanno impegnato gli studiosi sulle origini, sull’importanza del dialetto della Valle di Non. Alla materia di rilevante interesse filologico sono corrisposte tuttavia tesi non prive di contraddizioni che non hanno giovato alla causa politica che avrebbe dovuto operare per sostenere la riconoscibilità.

E anche la filogenesi, con le sue collocazioni temporali, non aiuta a risaltarne la valenza.

Il Nonese infatti è visto solo come una variante del Ladino che è lingua minoritaria, collocata al quinto posto nella “classifica” degli idiomi originari, esattamente dopo quelli indoeuropei, Italici, Romanzi e retoromanzi.

Sarà utile precisare, per completare il quadro di riferimento, che la parlata dell’Anaunia è, meglio, era, ricca di varianti e di sottovarianti, un tempo capaci di discriminare la provenienza del locutore, ovvero l’appartenenza alla frazione o al paese dichiarato.

La “Questione ladina”. Materia troppo complessa e “troppo centenaria” per essere affrontata in questo spazio. Al Lettore ne suggeriamo l’approfondimento in sede storica, nel caso volesse penetrarne lo spirito e capacitarsi sulla portata degli eventi in cui nacque e si sviluppò.

Furono tempi segnati da guerre, annessioni e rivendicazioni, in cui anche la ladinità della parlata nonese diviene motivo di contesa. Talvolta con toni aspri, rievocanti un passato ricco di “verità” ma povero, come accade, di univoche certezze e quindi adatto a innescare, a perpetuare le “questioni”.

Qui basterà sapere che la “Questione ladina”, è iniziata nel clima geopolitico della seconda metà del secolo XIX, a merito dal padre degli studi dialettologici, il glottologo, accademico e senatore goriziano, Graziadio Isaia Ascoli (1829-1906).

Questo linguista insigne, questo docente universitario “…ha dato…” si legge, dignità di Lingua ai Dialetti. Per quello Anaunico ha fatto di più; l’ha battezzato Nonese quasi per assimilarlo alle parlate importanti, cittadine, metropolitane, regionali come il Milanese, il Bolognese, il Piemontese.

Peccato che l’apporto politico del senatore/glottologo, non sia stato pari a quello scientifico.

I tempi correnti. Se dalla Storia millenaria emergono le origini e dagli studiosi dibattute “questioni” e tesi, dal “Vocabolario anaunico-solandro raffrontato col Trentino” di Enrico Quaresima (1883-1969) otteniamo l’indispensabile strumento, un passe-partout per aprire le menti sulla parlata della Valle di Non. Senza questo medium, tutto si complicherebbe ed anche le nostre indagini, la nostra scrittura, potrebbero aspirare ad essere, al massimo, un mero passatempo personale anziché uno sforzo teso a tramandare un segno.

Indispensabile, dicevamo, anche per le ricerche sul “campo” o per quelle estese a località remote, talvolta continentali, ove risiedono gli ultimi locutori di un dialetto lievemente inquinato dalle parlate locali, ma cristallizzato nella sua originalità, essendo protetto dagli influssi dell’uso.

Conclusioni Il Nonese e il Solandro sono:“…idiomi di transizione…” sentenzia il Quaresima.

Vorremmo dire vero, meglio, verificato, se dovessimo aggiungere credibilità all’appassionato Compilatore del vocabolario.

Nel relazionare qui, a parziale conclusione della nostra ricerca, possiamo solo affermare, questo sì, di avere assistito all’evolversi di almeno due dialetti, da noi ben conosciuti e praticati: il nonese e il milanese.

Grazie a ciò, possiamo affermare che dei due abbiamo notato le comunanze, rilevato le evoluzioni, ma anche le involuzioni; abbiamo assistito alla scomparsa dei termini, agli “inquinamenti” di matrice cittadina, regionale, nazionale o estera, nonché al crescente disuso idiomatico, ovvero scritto, parlato e anche rappresentativo, a causa della crisi che coinvolge lo spettacolo.

Un disuso che i geografi, definirebbero a “macchia di leopardo”, giacché privilegia le aree centrali a scapito delle periferie, con tempistiche che sembrano procedere sui due fronti a ritmi curiosamente sincronizzati.

Sarà questo un segnale che prelude alla lenta scomparsa dei dialetti? Lo ignoriamo. Ciò che sappiamo di certo è che noi continueremo la nostra fatica. E andremo avanti, per contribuire a tenerlo vivo il nostro Nònes, Noneso, Anaunico o Nonese che dir si voglia. Per noi è più di dialetto, più di una lingua, è un idioma che parla al cuore.