La Naunia descritta al viaggiatore

Rileggendo Gioseffo Pinamonti (1783-1848), uno che ne sapeva di geografia.

di Gino Ruffini

Bisogna ripercorrere i tempi, ricalcare impronte, osservare attentamente intorno, per conoscere e capire. Cosi si procedeva, già sul finire del 1700, dimostrando che :“…Solo scostandosi dai luoghi più frequentati si può giudicare dei costumi di un popolo, e distinguere ciò che è proprio delle sue istituzioni da ciò che dipende dal suo primitivo carattere”. Così scriveva Gioseffo Pinamonti, uno che ne sapeva di geografia, fino ad anticiparci quel “come si fa” della moderna ricerca.

Naunia, terra degli Anauni, i soggiogati Naunes, (come scrive Plinio nell’onorare Augusto imperatore). È questo un territorio ove il Noce, ovvero il Naunus scorre come tutti sanno, insinuandosi dalle sorgenti del Corno dei tre signori sul Cevedale, nella Valle di Sole, nella Valle di Non, quindi nella Piana Rotaliana per gettarsi finalmente nell’Adige.

Due regioni montane ben distinte le valli anzidette, per vocazioni, economia, popolazioni, orografia. Distinte anche per i confinanti di lingua tedesca che li identificano con i toponimi di Nonsberg e Sultzberg. Solo Cles, capoluogo noneso, emergerebbe qui come capitale delle due (!)

Leggendo “capitale” si viene colti da un fremito, pensando ai solandri, ai nonesi, alle sopite tensioni campanilistiche, sopratutto al carattere degli abitanti collocato notoriamente ai vertici nella scala delle “fermezze”. Benvenuto sia quindi il termine capoluogo, esprimente comunque centralità, ovvero il potere, i servizi, la cultura propri del Terziario avanzato.

Il nostro ideale viaggio esplorativo incomincia dal passo della Rocchetta che separa i territori anzidetti dalla Piana Rotaliana benedetta dal vitigno.

 

Veduta del santuario di San Romedio dal piazzale, circa 1829; da "La Naunia descritta al viaggiatore" di Gioseffo PinamontiCi accompagna una guida antica con cartina allegata, oltre allo spirito vigile, ammonitore del suo Autore che avverte subito, alludendo alle bellezze del paesaggio: “…Chi ha letto la descrizione del regno di Cachemiria nell’Asia può farsi un’idea della Naunia”. Trattasi di Gioseffo, di Giambattista, di Rallo, classe 1783. Probabilmente insignificante il cognome Pinamonti allora, in quel minuscolo centro abitativo probabilmente classificato al rango di Villa. In un simile contesto Gioseffo non crediamo abbia impiegato molto per dimostrare le sue spiccate doti. Allora infatti, i giovani privilegiati dal quoziente intellettivo, più che dall’agiatezza della famiglia, si “selezionavano” facilmente fra i frequentatori delle parrocchie al fine di educarli, individuare le capacità, stimolare le vocazioni ed accompagnarli quindi a farsi prete.

L’autore era infatti un “don” come si direbbe confidenzialmente oggi alludendo a un sacerdote. La figura che si tramanda è quella di uno studioso incline alle problematiche sociali (comprese quelle “difficili” religiose); ma anche quella di uno scrittore attento, poliedrico, interessato sia alle lettere, alla commedia, alla poesia, alla filologia, allo studio dei dialetti. “Troppo” ammoniva taluno. Anche come educatore popolare si adoprò, per suscitare interessi, sviscerare problematiche, perseguire soluzioni, al fine di “scuotere” le amate popolazioni che chiamava affettuosamente “ciari nonesi“, (per via di quella variante del nonese in “ci”, di ciampanèl, ciasa, ciampagna che risuonava e tuttora risuona nella sua Rallo sebbene condizionata dalla lingua nazionale).

Ne “La Naunia descritta al viaggiatore” (1) l’autore considera una realtà geografica contigua. Mette assieme cioè Sulzberg e Nonsberg, Val di Sole e Val di Non, privilegiando l’elemento unificante per eccellenza, ovvero il fiume Noce, el Nos (Torrente si legge da qualche parte!).

Sia quel che sia, la lettura del testo ci porta a seguirne l’idrografia, ora sulla riva destra, ora su quella sinistra del fiume, per rilevare ordinatamente siti che promanano un sorta di energia capace di richiamare l’attualità, malgrado il tempo trascorso.

Rievocarla a tal punto, da far assumere alla datata pubblicazione la forza di una monografia, ovvero quella di una scrittura comunque chiara, capace di condensare nel suo complesso la vita della regione montana passata in rassegna.

 

Frontespizio dell’opera (1829)
Frontespizio dell’opera (1829)

Interessante quel soffermarsi dell’autore per sollecitare l’attenzione; piacevole quel indurre a riflettere, a fare confronti, valutazioni, quasi a voler iniziare dalla realtà di quel tempo, eletta a punto fermo, per valutare, esaltando nell’attualità e ciò che è stato fatto.

Pinamonti, a tale scopo, accanto al Noce, invoca il nascente Turismo avvalendosi dei poveri indicatori che i rari movimenti del tempo consentivano. Come quelli delle persone che andavano verso Pejo e Rabbi, nei c.d. centri o stazioni termali, (forse semplici siti avvantaggiati dalla presenza di acque sorgive che taluno definiva “miracolose”), ove, si assicurava, le acque curassero, fra l’altro, anche… le “emorragie passive” e gli “scoli cronici genitalium muliebrium”.

Si trattava di un Turismo spicciolo, fatto di persone che alla fine di brevi soggiorni rientravano nelle loro case per magnificare l’esperienza personale, la riconquistata salute e con esse l’ospitalità, le località, quindi il Turismo peraltro in fieri. Difficile allora prevedere gli effetti moltiplicatori indotti da quelle brancaleonesche compagini; oggi si confonderebbero finbo a sparire negli imponenti flussi, siano essi turistici tout court oppure specializzati, compresi cioè nel c.d. Turismo sanitario in continua espansione.

L’agricoltura nel tempo, così com’era, appare gratificante all’autore. Era sì povera, ma garantiva la sopravvivenza, ovvero copriva la domanda, ovvero le esigenze della popolazione residente. Di lei, dell’Agricoltura, l’autore scriveva con sacerdotale enfasi: “…beati quelli i quali comprendono che la vita più felice è quella dell’agricoltore…”. Nella sostanza era un “niente” se confrontato con i risultati ottenuti con specializzazione, l’industrializzazione delle colture che hanno arricchito.

Centoquattro pagine compongono esattamente l’opera: uno spazio tuttavia sufficiente per comprendere anche il vivere sociale strettamente legato alle parrocchie; quello delle attività svolte al tiepido delle stalle nelle serate invernali; come pure le attività gioiose espresse all’aperto dai giovani nei giochi di forza, o dalla destrezza delle pudiche fanciulle intente a filar lana, canape e lino.

Spazio, dicevamo, anche per narrar di musica, di balli, di culinaria, descrivendo le bagianare, ossia scorpacciate a base di fave e carne, cottealla pietra. Spazio, per parlar della Donna, di eremi, dell’orco, di santi, principi, imperatori, moda, delle umane positività e negatività. Centoquattro pagine che evidenziano una fatica attenta, puntuale, esaustiva che, noi crediamo, può sollecitare ulteriormente la ricerca, il confronto, la riflessione, perfino l’indirizzo delle politiche, delle strategie territoriali future.

Tutto questo e altro sembra offerto e “garantito” dal nostro Gioseffo Pinamonti. A patto, a condizione che si affronti la ricerca a piedi o su “un cocchio tirato da due cavalli”!

Dopo una settimana d’intensa attività -si assicura- le immagini della Naunia emergeranno chiare per farci capire con ciò che siamo stati, ciò che siamo diventati.

Solo un leggero flou coprirà la nitidezza su quello che ci riserva l’imponderabile futuro.

 

(1) G. Pinamonti, La Naunia descritta al viaggiatore, Ristampa anastatica, G.B. Monauni, Trento, 1973.

 


Immagine grande: “Carta geografica delle valli di Non e di Sole”, da “La Naunia descritta al viaggiatore” (1829), Gioseffo Pinamonti