La Panthère des neiges, omaggio all’arte fragile e raffinata dell’attesa

di Viola Ducati

Al Trento Film Festival proiettato in anteprima italiana il lungometraggio d’esordio della regista naturalista Marie Amiguet, scritto e diretto insieme ai protagonisti delle riprese, il fotografo Vincent Munier e lo scrittore Sylvain Tesson. Presentato al Festival di Cannes nel 2021, uscirà nelle sale italiane questo autunno.

 

Due uomini scrutano nel cannocchiale le montagne. “Questa sera non verrà”. Parlano del leopardo delle nevi, ma senza nominarlo. La panthère des neiges, predatore solitario, iconico ed elusivo, [oggi minacciato dal rischio di estinzione] occupa con la sua assenza ogni inquadratura. Come dirà in una scena Sylvain Tesson, lirica voce narrante di tutto il film, basta la possibilità della sua presenza per elevare e riempire di mistero ogni elemento dell’ambiente tibetano. Le creste montane, i prati d’alta quota e i valloni scoscesi diventano pagine in cui leggere i segni del suo passaggio. “La Nature est un temple où de vivants piliers/Laissent parfois sortir de confuses paroles”, aveva scritto un secolo e mezzo fa un altro attento ascoltatore del vivente.

Il lungometraggio racconta la ricerca di un ideale. Nel 2017 Vincent Munier invita Sylvain Tesson a seguirlo sull’altopiano tibetano, alla ricerca del leopardo delle nevi. Ne nascerà non una caccia fotografica, ma un’attesa lunga mesi, fatta di appostamenti, avvicinamenti, immobilità e silenzi. La ricerca del leopardo, sacro Graal, fantasma e fantasia dei due uomini, diventerà l’occasione per scoprire tutto un mondo intorno, fatto di voci e rumori, pioggia, neve, vita tanto invisibile quanto maestosa a 5mila metri d’altitudine. Parlano gli occhi degli animali immortalati da Munier: gli sguardi di yak, volpi e orsi tibetani, falchi, asini selvatici, marmotte, pica, bharal, lupi e gatti selvatici sono porte che aprono una comunicazione possibile.

Il documentario è un omaggio all’arte fragile e raffinata del fotografo naturalista. L’appostamento diventa un’estetica e una filosofia. La città, il rumore degli uomini, il perpetuo cinetismo sembrano ormai lontani, ma tornano nelle riflessioni di Tesson: qual è il posto dell’uomo nel mondo? Quale rapporto abbiamo con la natura? Il messaggio ecologico è suggerito ma lasciato sullo sfondo. Più delle parole valgono le immagini. I paesaggi desolati del Tibet, le tempeste di sabbia, la pioggia e la neve sulle rocce scure diventano un nuovo paradiso terrestre. Va in scena l’armonia. Rivive l’età dell’oro.

Questo idillio romantico è forse un po’ ingenuo? Tesson, tra l’altro autore del libro La panthère des neiges a testimonianza dell’esperienza tibetana, vincitore del premio Renaudot nel 2019, ripropone il vecchio dualismo tra natura e città. Ma le sue parole sono sincere ed è facile immedesimarsi nel parigino scagliato nella wilderness tibetana, bisognoso di innalzarla a ideale antimoderno. Ed è fin troppo evidente la differenza rispetto a Munier, il fotografo esperto perfettamente adattato all’ambiente montano, capace di dare spazio alla percezione sensoriale piuttosto che ai pensieri. La sensibilità lirica di Tesson, d’altra parte, è perfettamente coerente con l’estetica e la filosofia del documentario: lo sguardo non è investigativo, ma poetico. A dichiararlo è lo stesso Munier: “Non mostro quello che non va nella natura”. Anche la colonna sonora originale, composta da Warren Ellis e con la partecipazione di Nick Cave, contribuisce a costruire lo spirito contemplativo del film. “Abbi fede nella poesia”, recita una delle sequenze conclusive. Cercare la bellezza e provare a renderle omaggio è forse salvifico.

La Panthère des neiges di Marie Amiguet e Vincent Munier, con Vincent Munier e Sylvain Tesson; Francia 2021; Colore, 92’. Documentario