Le belle rovine dell’eremo di Santa Giustina

Le rovine dell’eremo di Santa Giustina colpiscono ancora per il loro fascino. Si tratta di una meta interessante per le escursioni, anche in inverno.

di Lara Zavatteri

Quando si parla della valle di Non in merito ai luoghi di culto, inevitabilmente il pensiero corre subito al santuario di San Romedio a Sanzeno, suggestivo complesso di costruzioni poste su una roccia a tre chilometri circa dal paese, percorribili in auto e a piedi. Ma in val di Non la tradizione dei monaci di ritirarsi in luoghi appartati per meditare, dedicarsi alla preghiera e vivere in povertà era diffusa anche in altre zone. Ad esempio il paese di Romallo, che conserva l’antico e abbandonato eremo di San Biagio, che un tempo oltre a fungere da ospizio per i viandanti fu anche lebbrosario. L’ubicazione isolata dell’eremo era considerata, infatti, una condizione favorevole poiché consentiva di curare per quanto possibile i malati contagiosi, e soprattutto li teneva lontani dai villaggi, scongiurando così un’ulteriore diffusione del morbo (basti ricordare che una delle ipotesi sulla costruzione della chiesetta di Pegaia presso Cogolo in val di Sole, anch’essa distante dal centro, sta proprio nella volontà di tener lontana la peste).

In val di Non un altro esempio è Dermulo con l’eremo di Santa Giustina, sito che non tutti conoscono, ridotto ormai alle sole rovine rispetto all’edificio originario. Raggiungerlo non è difficile: basta portarsi presso la chiesa di Santa Giustina a Dermulo e da lì imboccare il sentiero Sat 529 che in meno di mezz’ora conduce direttamente nella forra del torrente Noce e allo spiazzo su cui ancora si ergono le murature dell’eremo.

Eremo di Santa Giustina (foto coroparrocchialetassullo.it)
Eremo di Santa Giustina (foto coroparrocchialetassullo.it)

Grazie a una passeggiata a tratti un po’ ripida, che consente uno sguardo anche alla diga del lago nato dallo sbarramento del fiume che, dall’eremo, prende il nome di Santa Giustina (dal 1950) e anche al ponte di ferro realizzato tra gli anni 1886-1889, ora ingabbiato nel calcestruzzo, il quale congiunge le due sponde della forra del Noce con la medesima denominazione.

Il sentiero è antico e secondo gli studi precede di molto la costruzione del romano Ponte Alto, oggi sommerso dalle acque del lago mentre l’eremo diede il nome anche al paese di Dermulo derivato da “Hermulum” dal tredicesimo secolo. Nel sito è stata predisposta una ricostruzione degli edifici, vale a dire della chiesa dedicata ai santi Giustina e Cipriano, di una scuola e della residenza dell’eremita, di cui rimangono solamente i muri con i rotondi ciottoli a vista, probabilmente presi direttamente dal Noce, la gradinata d’accesso consunta dal tempo dalla quale è possibile osservare anche una grotta di notevoli dimensioni, aperture che una volta ospitavano porte e finestre, tracce di colore ormai sbiadite. Che cos’era dunque questo luogo, dove oggi non è rimasto quasi nulla e che tuttavia continua a esistere quale testimonianza di una fede vissuta in totale povertà, in comunione perenne con la natura? Santa Giustina era un eremo che come molti altri, oltre a ospitare gli eremiti, dava rifugio ai viandanti che percorrevano le valli e cercavano un luogo dove passare la notte prima di proseguire; il luogo era inoltre collegato con Santa Emerenziana, altro eremo e santuario visibile ancora oggi all’imbocco della val di Tovel che a sua volta rivestiva il ruolo di ospizio e con Madonna di Campiglio attraverso il Passo del Grostè. La chiesetta è nominata dagli atti visitali dal 1537 ma secondo gli studi effettuati dev’essere più antica e dipendeva per giurisdizione dalla sede parrocchiale di Taio.

Eremo di S. Giustina, foto di Floriano Menapace
Eremo di S. Giustina, foto di Floriano Menapace

Nel corso degli anni (dal 1617 al 1782) si susseguirono diversi eremiti che nel periodo invernale soggiornavano però in paese; il primo che si ricordi è G. Giacomo Etterharter, l’ultimo, fuggito appunto nel 1782 dopo aver racimolato una sostanziosa colletta tra la popolazione locale, un Frasnelli nativo di Mollaro. Da quel momento l’eremo, abbandonato a se stesso senza più alcuna forma di manutenzione, s’è sgretolato un po’ alla volta, anche per le rappresaglie effettuate dagli abitanti del circondario, fin quasi a scomparire del tutto. In particolare, sull’altare della chiesa di Dermulo è posta la pala raffigurante la Madonna e i santi Cipriano e Giustina ereditata dall’eremo, mentre le rovine ancora suggeriscono l’idea di un luogo impregnato di una fede semplice ma genuina di una vita lontana dalle miserie umane e più spirituale. Eccezion fatta per l’ultimo eremita, scappato con l’elemosina della povera gente.