Lupi, catene alimentari e opposte tifoserie

di Aldo Martina

Il ritorno di un grande carnivoro come il lupo genera problematiche che ben si conoscono, in particolare per gli allevatori, in Trentino ma non solo. Tuttavia va compreso anche il ruolo ecosistemico che un predatore svolge in natura laddove gli ambienti sono ecologicamente sani. Sì, perché per “sano” si sottintende un ambiente in cui sono presenti tutti gli anelli della catena alimentare: se l’ambiente ne ha le potenzialità riesce autonomamente a regolare i propri complessi equilibri, e ciò grazie anche ai predatori che rappresentano uno dei fattori intrinseci di regolazione. A maggior ragione se poi si tratta di “super” predatori, come il lupo, cioè di quei particolari e radi anelli grazie ai quali tutta la catena si automantiene efficiente, l’apice supremo della piramide trofica, per usare un’altra perifrasi. Purtroppo di ambienti “sani” ce ne sono sempre di meno, soprattutto nelle aree geografiche dove più diffuse e tenaci sono le necessità di sviluppo della società umana, ed è lì che la catena si spezza più facilmente, in alcuni casi in modo irreparabile in altri solo temporaneamente.

La capacità di rigenerare gli anelli mancanti è tuttavia (e per fortuna) una peculiarità cui tende sempre un sistema ecologico che è alla ricerca costante di una stabilità, o meglio, di un equilibrio dinamico. Il ritorno del lupo lo possiamo inquadrare proprio in quest’ottica: il tentativo dell’ecosistema, inteso in senso generale, di riappropriarsi di un componente che è sostanziale ai fini di un soddisfacente e dinamico equilibrio. Perciò, il tentativo di ricostruire gli anelli mancanti più importanti, senza cui la tensione della catena ecologica collasserebbe, è un processo che la natura persegue in ogni situazione e a qualsiasi condizione, da quando è iniziata la storia della vita, tre miliardi e mezzo di anni fa. Quindi qual è il problema? Il problema è che non sempre, anzi quasi mai, lo scopo naturale di un ecosistema, appunto la tendenza verso la stabilità dinamica, coincide con gli interessi della società umana… o con una parte di essa. Ecco, le “parti”. Si formano delle parti, si delinea cioè una divisione, una diversa visione che in questo caso porta squilibri, anche fra noi. Una divisione sociale, culturale, o quel che sia, quando si verifica, a prescindere dalle ragioni, emergono tensioni, contrapposizioni, faziosità.

Distribuzione mondiale del lupo grigio Canin lupus (fonte: IUCN – International Union for Conservation of Nature, 2018)

In questi anni, magari con intensità diverse, nelle aree di ricolonizzazione naturale del lupo sta succedendo proprio tutto questo: il tentativo ecosistemico di ricostruire la catena spezzata, grazie alle condizioni ambientali fortemente migliorate negli ultimi decenni, cozza contro lo smarrimento derivato dai rischi e dai danni che ciò comporta invece per alcuni (o molti) di noi. Ed è comprensibile, o almeno dovrebbe esserlo, se riflettiamo con serenità su che “cos’è il lupo”. Non mi stancherò mai di ripeterlo: si tratta di un super predatore, eclettico a dismisura nelle sue esigenze di vita e che ha dimostrato di avere un enorme successo in termini di fitness ecologica, al punto da diventare, incontestabilmente, il mammifero terrestre con la più ampia estensione geografica al mondo, dall’Alaska alla Siberia, dalla Groenlandia alla penisola araba (IUCN, 2018). Un anello della catena proprio per questo più facile da ricucire. La sua adattabilità a diverse condizioni ambientabili, l’organizzazione sociale, la resilienza alle persecuzioni secolari, l’attitudine ad apprendere e approfittare dell’occasione più conveniente e, non ultima, la dotazione di un formidabile insieme di strumenti anatomici e fisiologici perfezionati nel corso di 5-20 milioni di anni (Miocene). Tutto questo, tralasciando gli ingranaggi più fini del suo essere lupo, l’hanno trascinato in una situazione di rinnovata conflittualità con l’uomo. Dal Neolitico, cioè dalle prime forme di allevamento, fin quasi ai giorni nostri, il lupo si materializzava nella mente umana come uno fra i peggiori incubi (p.e. la licantropia), adesso certamente non è più visto in quello stesso modo, l’alone mitologico è andato via via sfumando, ma per alcune categorie sociali oggi incarna un problema reale e, onestamente, è vero. La presenza del lupo infatti rappresenta una variabile che può vincolare il mondo dell’allevamento, soprattutto quello amatoriale, fatto da pochi capi, e non può essere sottovalutata, tantomeno ridicolizzata, da nessuno, soprattutto da quanti invece difendono a spada tratta la sua sorte.

Dopo temporanee sospensioni, piccole battaglie perse un po’ di qua o un po’ di là, dall’uno o dall’altro, ecco che il conflitto tra i due eterni rivali torna a inquietare gli animi, proprio lì dove più lunga è stata la tregua: le Alpi, l’Europa occidentale. Tutto questo lungo “frattempo” è servito, nel nord-Italia, a dimenticarci di lui; ci abbiamo messo una pietra sopra e così, per un secolo e mezzo, non lo abbiamo più visto come un problema. Poi, quelle voci, pochissime e rimaste inascoltate: “il lupo sta tornando, è solo una questione di tempo.” Eravamo alle soglie del 2000.

Ora il lupo è ricomparso, colpisce, ed è inesorabile dove la preda è più facile da avvicinare, forse è meno cauto di prima ma, a differenza di prima, la nostra società si è divisa tra opposte tifoserie, viviamo tutti un bel dilemma, esasperato anche dall’animosità orchestrata da ideologie che nulla hanno a che vedere con la scienza ma di cui la scienza ne paga le conseguenze. Insomma, un gran casino, se mi permettete l’espressione.

 

(Foto di Jeff Jacobs da Pixabay)