a cura di Stefano Albergoni
Sistemato lungo la sponda destra dell’Adige nel punto in cui la montagna si fa più ripida, chiudendo la valle a sud del territorio di Mori, il complesso industriale della ex Montecatini, per dimensione e ricchezza dei manufatti edilizi, opere idrauliche ed elementi infrastrutturali, rappresenta un episodio unico non solo nella realtà produttiva trentina di ogni tempo, ma nello stesso paesaggio di questa provincia.
Fu deciso di insediarlo lì per una motivazione oggettiva – il notevole aumento della pendenza dell’alveo del fiume Adige in corrispondenza di Mori consente il proficuo utilizzo della sua portata attraverso impianti idroelettrici a bassa caduta -, e si appoggiava sull’allora forte richiamo politico dell’italianizzazione delle ”terre redente”.
Nel campo della lavorazione dell’alluminio, quella di Mori è stata una fabbrica all’avanguardia sotto l’aspetto tecnologico e dell’organizzazione del lavoro, un modello cui nel primo ‘900 tutta l’Europa ha guardato con attenzione: fu il primo impianto in Trentino a sfruttare per il proprio fabbisogno l’energia che in loco si creava; il suo canale di derivazione era il più lungo fino ad allora costruito in Italia e uno dei più importanti d’Europa (2450 metri); all’interno della centrale idroelettrica (una delle più belle e artisticamente apprezzabili nell’arco alpino) erano situate le quattro dinamo più potenti del continente. Si consideri poi che all’interno dello stabilimento furono brevettati nuovi modelli di forni di fusione, sperimentati nuovi sistemi di battitura meccanica e messi a punto sistemi di depurazione e lavaggio dei fumi e delle polveri divenuti oggetto di studio nel mondo.
Di fatto fu la più importante iniziativa del settore in Italia. Essa rispondeva concretamente alle esigenze di ripresa economica e di risanamento della bilancia commerciale dello Stato, appesantito, fin dal primo dopoguerra, dall’importazione di questo prodotto dall’estero.
Costruita tra il febbraio 1927 e l’ottobre 1928 dal gruppo industriale milanese “Montecatini” (in accordo con la società tedesca “Vereinigte Aluminium Werke”, che sarà sua alleata fino al 1930), questa fabbrica rappresentava di fatto anche la prima grande iniziativa industriale dell’intero Basso Trentino. La Montecatini ebbe esiti determinanti per la radicale trasformazione del suo apparato economico, fino ad allora basato solo sull’agricoltura, e del suo tessuto sociale. Introducendo una lenta sostituzione della professione contadina con il lavoro dipendente, favorì l’affermarsi di nuovi comportamenti e valori urbani dovuti all’industrializzazione, svolgendo anche una funzione di guida nei confronti di altre esperienze industriali e artigianali sorte in Vallagarina negli anni successivi.
A fianco a questi motivi di orgoglio, nel corso della sua storia la Montecatini produsse anche danni ambientali, in particolare con il fenomeno delle “macchie blu”, presentatosi in due riprese nel periodo 1930-1935 e negli anni 1965-1966 e causato dall’inquinamento prodotto dai propri impianti su persone, animali e piante. Fu una pagina dolorosa per il territorio, che generò paura e tensioni tra i coltivatori dei terreni circostanti (che premevano per la chiusura della fabbrica), gli operai assunti (che minimizzavano i danni per paura di perdere il lavoro) e la dirigenza della fabbrica (che, mentre sul piano ufficiale dichiarava la propria estraneità all’inquinamento, accordava ai contadini dei risarcimenti per i danni subiti).
Gli operai addetti ai forni (chiamati “fornaioli dell’Apocalisse”), furono grandi protagonisti della storia di questa fabbrica. Nei primi anni di vita dello stabilimento lavoravano in condizioni davvero al limite. Provenivano da Mori, ma anche da Marco, Chizzola, Brentonico, dalla Val di Gresta, da Ala e da Dro. Il loro compito accanto ai forni di fusione consisteva nella battitura della crosta con una stanga di ferro non appena si accendeva la lampadina che segnalava il momento in cui il bagno aveva bisogno di allumina. L’operazione era molto faticosa, il pericolo di ustioni e scottature era altissimo e per di più la temperatura della sala in cui lavoravano toccava anche i 60 gradi, con diffusione nell’aria di fluoro, anidride e ossido di carbonio.
Durante il secondo conflitto bellico, la Montecatini fu dichiarata fabbrica di guerra e dipese dalla Fabbriguerra di Bologna. La produzione dello stabilimento riforniva, oltre che quella italiana, anche l’industria bellica tedesca e, tranne alcune classi di giovani, gli operai dei forni non furono chiamati alle armi. Fu in questo periodo che si toccò il numero massimo di dipendenti, che raggiunse le 1224 unità. I trasporti e i rifornimenti furono resi più difficili, fu bombardata l’officina meccanica e una paratoia della diga, con successiva fermata della centrale; fu anche minata l’area circostante ma, ciononostante, la fabbrica lavorò sempre a pieno ritmo. La ripresa, dopo la Liberazione, fu lenta e difficile: la crisi fece sentire i suoi effetti, causando una drastica riduzione dell’organico, che arrivò a toccare punte minime di 250 lavoratori. Ciò fu dovuto anche ad una generale opera di meccanizzazione del lavoro; l’operaio non lavorava più a diretto contatto con il forno come ai primi tempi ma ne controllava la pressione seduto su una carrello dotato di braccio meccanico per battere, velocizzando così l’operazione.
Lo stabilimento visse anche momenti di lotta sindacale, che culminarono con l’occupazione del 1958, venne costituita in quegli anni una Commissione Interna con il compito di mediare i rapporti tra la direzione e i lavoratori per quanto riguardava il salario, l’orario, l’ambiente di lavoro. Dagli anni ’50 divenne operativo anche un Comitato antinfortunistico, la ditta organizzava poi corsi, aggiornamenti specifici e corsi di formazione professionale e veniva curata anche la preparazione dei capi sotto il profilo sociale, per un migliore inserimento in azienda. Venne istituita la mensa aziendale e, negli anni ’55 -’60 sorsero molte attività di dopolavoro che contribuirono a far partecipare attivamente i dipendenti e le loro famiglie alle svariate iniziative promosse. Vi era la filodrammatica, il coro, le squadre di ciclismo e di calcio. Si costituì l’Associazione aziendale degli ex – combattenti e reduci di guerra. Si organizzavano tornei sportivi e gite aziendali, a Pasqua e Carnevale si programmavano feste ed incontri mentre d’estate era agibile per i figli dei dipendenti una colonia a Seiano, presso Napoli.
Da ciò si può intuire come la fabbrica non fosse solo un luogo di lavoro e di fatiche, ma anche una comunità di intenti e di solidarietà. Era un mondo proteso al conseguimento di un risultato comune: un’intelligente politica aziendale aveva infatti reso i dipendenti partecipi dell’impegno e della sfida che quella fabbrica rappresentava con le sue attrezzature d’avanguardia, della funzione di “pilota” e di “guida” che svolgeva per altre analoghe esperienze industriali. La Direzione di Milano riconosceva a Mori uno spirito “diverso”, un attaccamento particolare degli operai alla loro fabbrica.
Gli ultimi anni di vita trascorsero in tono minore, con un numero ridotto di dipendenti e senza la carica di entusiasmo e di partecipazione che aveva caratterizzato i primi decenni. La nazionalizzazione dell’energia elettrica influì negativamente sul corso dell’azienda. Finché la Montecatini poté disporre di centrali proprie, questa costò pochi centesimi, con l’ENEL invece i prezzi decuplicarono. Con questo fardello la Montecatini affrontò gli anni ’70. Nel mondo erano intanto sorte fabbriche concorrenti e lo stabilimento di Mori non era più competitivo e suscettibile di ulteriori sviluppi produttivi. La nuova proprietaria dell’azienda, l’E.F.I.M. (a partecipazione statale) era solo una presenza burocratica.
Nel marzo 1983 la chiusura divenne definitiva. Si era conclusa un’epoca, una grande stagione di fatiche e sacrifici, di orgoglioso riscatto sociale e di volenterosa, commovente partecipazione alla prima, “pionieristica” avventura industriale del Basso Trentino.
La chiusura dello stabilimento, lo smantellamento dei manufatti e l’abbandono dei luoghi hanno consegnato l’immagine dello stabilimento a quella che viene definita “archeologia industriale”. E mentre altrove in Europa Il complesso ex Montecatini pone da oltre 30 anni, come nel caso della dismissione di altre vaste aree produttive – si pensi al bacino della Ruhr in Germania, al Lingotto di Torino, alla Bicocca di Milano -, il problema del suo riuso in relazione non solo alle esigenze della pianificazione provinciale di individuare possibili funzioni e le regole a cui deve sottostare il disegno di questa porzione di territorio, ma anche in relazione agli aspetti culturali e sociali legati alla trasformazione di un insediamento industriale che fa parte del paesaggio figurativo e della memoria storica dell’intera comunità della Vallagarina. In questo senso, seppure nella specificità dei provvedimenti, si inseriscono alcune iniziative di tutela degli aspetti architettonici del complesso come il riconoscimento dell’interesse storico-artistico dell’edificio della centrale secondo la legge n. 1089 del 1939 e l’individuazione dell’intero insediamento fra i beni paesaggistico-ambientali definiti dall’art. 94 della legge urbanistica provinciale.
In questi ultimi anni la Montecatini è diventata un luogo molto ambito e richiesto come location cinematografica, fotografica e di interesse architettonico. Lo spazio industriale abbandonato è ripreso e fotografato da molti amatori e professionisti provenienti da tutta Italia e dall’estero, e che rileggono lo spazio e il luogo in modo del tutto inedito o ‘ex novo’. Ad esempio, il notissimo cantautore italiano Marco Mengoni vi ha girato alcune scene del videoclip della canzone “Guerriero”, il primo estratto dal terzo album in studio “Parole in circolo” e pubblicato il 21 novembre 2014. Il video, realizzato in collaborazione con Trentino Film Commission, ha toccato su Youtube oltre 11 milioni di visualizzazioni. È questo il modo, artistico, virale, in cui la storia dell’ex Montecatini si fa conoscere nel mondo.
Questo articolo ha tratto motivazioni e contenuti dalla tesi di laurea di Simone Toss “Lo stabilimento ex-Montecatini di Mori : quale riuso?” (2000). Grazie ancora a Simone, un grande cultore della materia Montecatini.