di Marta Gandolfi
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“Noi abusiamo della terra perché la consideriamo come una merce che ci appartiene. E’ solo quando vediamo la terra come una comunità a cui appartenere che iniziamo a trattarla con amore e rispetto. Non c’è altro modo in cui la terra possa sopravvivere all’impatto dell’uomo meccanizzato. […] Ma a prescindere da dove si trovi la verità, una cosa è molto chiara: oggi la nostra grande e bella società è come un ipocondriaco, così ossessionato dal suo benessere finanziario da aver perso la capacità di restare in salute.”
Così scriveva Aldo Leopold (1887-1948), pioniere della conservazione della natura e padre della gestione faunistica, nel suo bellissimo libro “A Sand County Almanac and Sketches Here and There” pubblicato postumo nel 1949, una lettura sentitamente consigliabile a tutti, specialmente oggi.
Di questo libro, così bello e ancora così attuale, ho scelto di citare un estratto, il pezzo più forte del libro, carico di significato e di emozioni, intitolato “Thinking like a mountain”.
In questo passo Leopold riflette sulla concezione antropocentrica che ancora l’uomo dei primi del ‘900 aveva, considerando la natura come una risorsa interminabile da potere sfruttare senza limitazioni o particolari regole. Riflette su come l’uomo considerasse questo sfruttamento positivo in assoluto, per sé allo stesso modo che per tutto, ecosistemi e natura in generale compresi.
E lo fa partendo dal significato dell’ululato di un lupo che, dietro, cela, altri significati più grandi e globali, che fanno capo a quella che Leopold stesso successivamente chiamerà the Land Ethic, una “coscienza ecologica”, basata sulla consapevolezza di una forte interrelazione e interdipendenza di ogni forma di vita, piante, animali, acqua, terra e anche, ovviamente, l’uomo.
“Conservation is a state of harmony between men and land. By land is meant all of the things on, over, or in the earth….”. Solo il rispetto di queste interrelazioni avrebbe consentito l’equilibrio generale per lungo tempo.
Aldo Leopold, in “Thinking like a mountain” racconta il giorno in cui egli capì che la verità e la salvezza dell’uomo fossero insite in questa diversa concezione in cui l’uomo stesso potesse ritrovare il suo posto come parte integrante della natura e dove le risorse naturali (animali selvatici compresi) non fossero concepite per uno smodato utilizzo ed un incondizionato prelievo, ma come beni preziosi da rispettare e da cui beneficiare con parsimonia ed attenzione, secondo principi rigorosi di conservazione, per il bene della natura e dell’uomo.
Leopold parla di come la morte di un lupo, in quel caso una femmina, inizialmente concepita come un traguardo agognato da cacciatore di quei tempi, avesse preso improvvisamente un significato diverso, che solo la montagna poteva capire, lei “che ha vissuto abbastanza da potere ascoltare oggettivamente l’ululato di un lupo”.
Leopold, nel momento in cui vide la lupa morire e quel “fierce green fire”, quell’intenso fuoco vitale color smeraldo spegnersi nei suoi occhi, capì che le specie selvatiche sono tutte connesse tra loro e con l’ambiente da un equilibrio superiore, per cui la scomparsa di una di esse crea conseguenze ad altre e al territorio in cui esse vivono. L’utilizzo sregolato delle risorse naturali da parte dell’uomo, nella sua visione antropocentrica del mondo, diventa perciò un concetto non condiviso neppure dalle montagne, che sole hanno visto così tanto da potere valutare le dinamiche ambientali tra le specie con sana ed equilibrata imparzialità.
“La mia convinzione su questo punto risale al giorno in cui vidi un lupo morire. […] A quei tempi non avevamo mai sentito che qualcuno si fosse lasciato sfuggire l’occasione di uccidere un lupo. In un attimo stavamo scaricando piombo sul branco, ma con più eccitazione che precisione: calibrare un tiro dall’alto verso il basso crea sempre un po’ di confusione. Quando finimmo i colpi, la lupa era a terra.. […] Raggiungemmo la vecchia lupa appena in tempo per osservare un intenso fuoco verde spegnersi nei suoi occhi”.
“Mi resi conto allora che in quegli occhi c’era per me qualcosa di nuovo, qualcosa che solo il lupo e la montagna conoscevano. A quel tempo ero giovane, e sempre ansioso di sparare; pensavo che avere meno lupi significasse avere più cervi, e che avere nessun lupo equivalesse all’ottenere il paradiso dei cacciatori. Ma quando vidi spegnersi quel fuoco verde, intuii che né il lupo né la montagna erano d’accordo con una tale visione.”
Alla fine di “Thinking like a mountain”, Aldo Leopold riflette sull’operato dell’uomo nel suo affannoso tentativo di raggiungere, a tutti i costi e con tutti i mezzi, la certezza di una vita tranquilla, anche estraniandosi dagli equilibri naturali, cercando di sopraffarli alienandosi da essi e, così facendo, mettendosi in realtà in pericolo, in quanto nel rispetto della natura e nella convivenza con essa sta la nostra salvezza.
“Noi tutti ci sforziamo di ottenere sicurezza, prosperità, comfort, longevità e prevedibilità. I cervi ci provano con le loro zampe flessuose, i mandriani con trappole e veleno, lo statista con la penna, la maggior parte di noi con macchine, voti e dollari – ma in fondo tutto si riduce alla stessa cosa: vivere in pace. In una certa misura, raggiungere questo scopo è più che sufficiente, e forse è una condizione per poter pensare in maniera oggettiva, ma troppa sicurezza, a lungo andare, sembra produrre solo pericoli. Forse è questo il significato della frase di Thoreau: «Nella natura selvaggia risiede la salvezza del mondo».Forse è questo il significato nascosto nell’ululato del lupo, che le montagne conoscono da molto tempo, ma che gli uomini raramente percepiscono.”
In questo momento difficile in cui ci troviamo, riflettendo sui suoi perché e per come, sarebbe forse utile cogliere l’esortazione di Leopold a “pensare come una montagna” e a riconciliarsi con gli equilibri naturali, a seguirli e rispettarli di più come comunità umana, nel nostro vivere quotidiano, abbracciando maggiormente nelle nostre scelte quella concezione ecologica di cui parlava Leopold quasi un secolo fa e che ancora oggi ha bisogno di essere ricordata e praticata.
“Credo che questi scritti […]”, scriveva, “vogliano suggerire un modo con cui potremmo rimetterci al passo.”
(in collaborazione con Buongiorno Natura)