di Anna Sustersic
La migrazione degli uccelli, da sempre considerata uno dei fenomeni più affascinanti e misteriosi del regno animale, da millenni non smette di catturare la curiosità dell’uomo che cerca di interpretarne le dinamiche e le leggi naturali che ne stanno alla base.
Proprio con l’obiettivo di osservare e indagare questo straordinario fenomeno naturale, nasce nel 1997 il Progetto Alpi, programma di monitoraggio della migrazione tardo estiva e autunnale attraverso il settore italiano della Catena alpina. Paolo Pedrini, conservatore della sezione di Zoologia dei vertebrati del Muse, ha seguito il progetto dal suo inizio.
Da oltre vent’anni ti occupi del progetto Alpi, di cosa si tratta?
Il progetto Alpi è nato fondamentalmente dal desiderio di conoscere lo straordinario fenomeno della migrazione, da dove vengono, dove vanno e quali specie e comunità attraversano il nostro territorio. Una documentazione che si realizza attraverso l’inanellamento di esemplari. Il progetto coinvolge 42 stazioni di inanellamento distribuite sull’intero arco alpino che, dall’inizio del progetto ad oggi, hanno contribuito con il loro lavoro di ricerca alla raccolta di informazioni; nove quelle che hanno operato in maniera continuativa.
La legge del 1986 dei biotopi parlava di zone di sosta e rifugio per i migratori, da lì è nato lo spunto. Infatti, investigare un unico luogo, per esempio il biotopo dell’Avisio o di Fiavè, non era sufficiente per comprendere un fenomeno così complesso, quindi si è pensato di individuare diversi siti sul territorio alpino al fine di mettere in rete tutti gli inanellatori, e raccogliere le informazioni necessarie, a descrivere i meccanismi che governano il passaggio dei migratori sull’arco Alpino.

Perché il territorio trentino è così importante per lo studio della migrazione?
Il Trentino è attraversato da rotte primaverili e autunnali di migratori. Alcuni valichi, come quello del Brocon e del Casèt, costituiscono dei veri e propri colli di bottiglia che i migratori devono attraversare nel loro viaggio verso sud.
Il valico Bocca di Casét (a 1.608 m) nelle Alpi Ledrensi, infatti, è situato sulla rotta italo ispanica, ed è il più famoso valico del Trentino.
In questi vent’anni di osservazioni sul campo quali sono stati i principali risultati del progetto?
Siamo riusciti a osservare come avviene la migrazione a scala altitudinale per diverse specie, e per ognuna classificare i periodi di passaggio. Abbiamo inoltre definito l’uso stagionale che le specie fanno dell’ambiente e capito come la diversità di un paesaggio non vada letta solo nella sua struttura momentanea, ma come ogni suo cambiamento nell’arco dell’anno influenzi l’uso del territorio da parte dei migratori, in funzione della variazione dell’offerta ecologica che distingue questi ambienti nel corso delle stagioni.
Abbiamo osservato dove sostano le diverse specie, come transitino attraverso i valichi: punti di particolare concentrazione dei migratori, e questo ha avuto un ruolo importante in termini di tutela diretta delle specie, in particolare per quanto riguarda la caccia che si svolge in quei luoghi.
Le Alpi sono una finestra sull’universo delle migrazioni, quello che intercettiamo nelle nostre osservazioni è un filo d’aria che unisce il paleartico al fondo all’Africa.
Quali riscontri ha avuto il progetto a livello di conservazione?
Oltre all’effetto diretto di contribuire al progressivo ridursi della pressione venatoria, il nostro lavoro di osservazione ha portato ad individuare azioni mirate per favorire la conservazione. Ad esempio il mantenimento di un’agricoltura diversificata e la protezione delle zone di prateria in quota. Mantenere un ambiente diversificato è già un’azione diffusa sul territorio che ci permette di garantire la sopravvivenza delle popolazioni di passaggio.
A livello più generale il progetto ha aperto la discussione sulla necessità di una rete ecologica diffusa e quindi di una conservazione diffusa. Tutte queste informazioni, integrate a livello europeo, forniscono dati importanti che possono essere impiegati nella definizione di misure di conservazione dell’avifauna.
Parlando di conservazione: cosa significa oggi in Trentino e come si è evoluto questo concetto negli ultimi decenni?
Siamo passati da un’idea di conservazione stretta e limitata a una conservazione più diffusa e spesso confusa con la gestione… Termine forse politicamente più spendibile perché fa capire gli eventuali collegamenti con società ed economia. Oggi la conservazione gode di ciò che è stato fatto negli ultimi trent’anni dalla legge dei Parchi dell 1986 che ha sancito la costituzione dei due parchi provinciali, delle riserve demaniali e l’istituzione dei biotopi. Questa è stata l’ossatura che ha permesso di avviare la politica di conservazione. Con Rete Natura 2000 è stato fatto un ulteriore importante passo per riconoscere il contributo che aree di particolare interesse dal punto di vista della biodiversità a una rete ecologica alpina, nazionale ed europea. Questo passaggio ha dato un grande contributo al concetto di conservazione evolvendola da livello di singola specie a quello di insieme di specie.
Quali sono oggi le principali criticità in termini di conservazione sul territorio?
Oggi emerge la necessità di diffondere la conservazione oltre i limiti delle riserve, non basta conservare all’interno dei confini delle aree protette ma gestione e tutela vanno allargate anche alla qualità del territorio circostante, dove negli ultimi trent’anni non si era riusciti completamente a mantenere elevata la qualità. L’ambiente circostante queste aree protette è fortemente modificato. In trent’anni il sistema viario è stato rafforzato, l’agricoltura è passata da estensiva a maggior parte intensiva e questi aspetti hanno fortemente compromesso le connessioni rispetto a quello che era rimasto del passato.
Creare collegamenti ecologici è la scommessa del futuro: connettere le aree protette con gli ambienti circostanti, mantenere alta la qualità ambientale, compresa quella degli ambienti agricoli, facendoli diventare elementi di connessione e non di divisione, lavorare sulla qualità dei prodotti, delle sostanze chimiche usate, sugli elementi di margine delle zone agricole, sono tutti aspetti fondamentali per creare questa connessione.
Ulteriore elemento cruciale è il coinvolgimento delle persone, per il quale è necessario un forte impegno dal punto di vista della comunicazione. Senza un’adeguata informazione libera non c’è conservazione.

Il livello di consapevolezza della società è adeguato o siamo ancora molto lontani?
Sicuramente è cresciuto rispetto al passato. Forse negli anni ’80 c’era una forte consapevolezza dell’emergenza, molte specie erano rare: l’orso era estinto, sulle Alpi di aquile quasi non ce n’erano più. I falchi erano protetti solo da 5/6 anni perché prima erano cacciabili. Molti obiettivi poi sono stati raggiunti quindi e si è cominciato a dover combattere contro quelli che dicevano che alcune specie erano diventate addirittura troppo abbondanti. C’è il pericolo di finire a pensare che il più sia fatto e non ci sia più bisogno di impegnarsi in conservazione. Pur nella consapevolezza che l’ambiente naturale è un luogo di grande bellezza e di vita, c’è una sorta di rilassatezza nei confronti di problemi che riguardano la gestione delle specie in un mondo condiviso con l’uomo.
Cosa manca?
Forse manca l’associazionismo spontaneo da parte delle persone e non solo stimolato dalle istituzioni. Si dovrebbe affermare una nuova visione di conservazione dell’ambiente, che travalichi i confini delle aree protette, per diffondersi sul territorio. Va inoltre sottolineata l’importanza del controllo del territorio da parte di personale qualificato come sono oggi i guardaparco, senza i quali la garanzia di tutela è indebolita.
Ogni anno segui in autunno la migrazione presso i valichi. Qual è l’aspetto che ti affascina di più?
Essere lì all’alba sentire i primi movimenti e riconoscere le diverse specie dal comportamento ancora prima di vederli chiaramente. Ma anche esplorare il territorio indagando quali siano gli elementi che rendono un determinato sito più idoneo di un altro alla sosta. Una sorta di “indagine ecologica” alla scoperta delle relazioni.