di Solomon Tokaj
Quarantamila bottiglie da 0,375 litri sono una piccola goccia nel mare del vino prodotto, imbottigliato, commercializzato dalle aziende trentine. Ma se la goccia brilla di una luce speciale, la puoi vedere scintillare come una perla sulla spiaggia: piccola, quasi impercettibile, ma quando lo sguardo finisce lì, ah … va a finire che quella spiaggia non te la dimentichi più. Ecco, il Vino Santo trentino dovrebbe essere questo: l’eccellenza, la pietra più preziosa da esibire in pubblico, la cui luce riflessa potrebbe dare lustro al circondario.
Eppure non sono poi molti, nemmeno in Trentino, che apprezzano e conoscono a fondo la storia di questo vino dolce, legato a filo doppio con il suo territorio di produzione: la Valle dei Laghi, un ecosistema con caratteristiche assolutamente originali, anello di congiunzione tra le vette dolomitiche e il clima submediterraneo del Lago di Garda.
Vino Santo, non Vin, quello è un’altra cosa. Il Vino Santo trentino, quello classico, è solo quello prodotto nei Comuni di Calavino, Cavedine, Lasino, Padergnone, Vezzano, in particolare con uve Nosiola provenienti dalle terrazze collinari (“fratte”), non sotto i 600 metri di altitudine.
Perché se ne imbottiglia così poco? Perché la sua produzione è un lavoro immane. Non più di dieci ettari è la superficie davvero indicata per la produzione delle uve per il Vino Santo. Selezione maniacale dei migliori grappoli in vigna: solo i più spargoli e sani possono essere usati a questo scopo. Appassimento dei grappoli sui graticci (“arele”) e loro continua pulitura per circa sei mesi: saranno l’ “Ora del Garda”, la brezza che da prima del mezzogiorno fino al pomeriggio accarezza la Valle, e il “Pelèr”, il vento freddo che viene da nord, a garantire la loro conservazione e il loro appassimento. Se tutto va bene e le condizioni di appassimento sono ottimali, si sviluppa sugli acini la Botrytis cinerea, la “muffa nobile” che rende unici i vini che ne beneficiano: Tokaji, Sauternes … parenti di nobile stirpe. Ammostatura durante la Settimana Santa, mai prima del 1° marzo: da 100 kg di uva, meno di 20 saranno i litri di mosto. Maturazione in botte di legno per almeno 48 mesi (così dice il disciplinare), ma i pochi produttori rimasti a vinificare questo nettare aspettano almeno 7 anni, i più anche 10.
Cosa troverete nel bicchiere? Un vino dolce, molto dolce, con zuccheri residui tra i 110 e i 180 grammi per litro, ma non stucchevole, sempre equilibrato, adatto a invecchiamenti in bottiglia anche di decenni. Con la torta de fregoloti o altri dolci secchi della pasticceria trentina, ma anche da solo, a fine pasto, o quando ne avete voglia, una voglia irresistibile di dolcezza.
Perché comprarlo e, per una volta, lasciare perdere i vini dolci più famosi e commerciali? Perché non costa molto, in proporzione all’enorme e complesso lavoro che vi sta dietro; perché dentro quelle mezze bottiglie c’è un pezzo di territorio alpino e la fatica di chi si ostina a produrre vino in modo serio e a coltivare un paesaggio rurale di rara bellezza; perché abbiamo qui, a pochi passi da casa, un buon vino per accompagnare i dolci, evitando di rovinarci palato e digestione con gli immancabili spumantini secchi.
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