Nel corso degli ultimi 40 anni l’ambiente alpino ha subito profonde modificazioni e il bosco in molte aree ha preso il sopravvento sulle zone aperte. Uno studio del Parco Naturale Adamello Brenta ne individua le dinamiche e i problemi che ne nascono.
di Andrea Mustoni e Filippo Zibordi
Nel corso degli ultimi decenni, l’ambiente alpino ha subito profonde modificazioni e il bosco, in molte aree, ha preso il sopravvento sulle zone aperte, diminuendone la superficie e riducendo le aree di confine, i cosiddetti “ecotoni”.
Siamo talmente abituati a sentir parlare della deforestazione selvaggia dei “polmoni verdi” del pianeta, come l’Amazzonia, che questa ci pare una buona notizia. In realtà, tali mutamenti hanno spesso delle conseguenze negative sia per l’ecosistema, che si “banalizza” (semplifica), sia per molte specie di animali che lo popolano.
Per meglio comprendere tali dinamiche, la cui rilevanza ha strette correlazioni con l’evoluzione della società delle genti alpine, il Parco Naturale Adamello Brenta ha promosso uno studio teso a quantificare le modificazioni ambientali avvenute negli ultimi 40 anni, attraverso l’utilizzo di tecniche di fotointerpretazione, e a correlare tali dati con le dinamiche di popolazione del capriolo.
L’indagine, realizzata dal Dipartimento di Scienze della Natura e del Territorio dell’Università di Sassari, ha analizzato le ricadute anche nei confronti di alcune specie di lagomorfi (lepre comune e lepre bianca) e galliformi (gallo cedrone e fagiano di monte), fornendo indicazioni sui possibili interventi che potrebbero favorirne la presenza, incentivando la conservazione della biodiversità a scala locale.
La valutazione delle modificazioni che hanno interessato il territorio del Parco è stata effettuata, in via preliminare, creando uno strato di 100 punti casuali mediante GIS (Geographic Information System o Sistema Informativo Territoriale): ad ogni punto è stata poi associata la corrispondente categoria di uso del suolo desunta dalle ortofoto (foto aeree georeferenziate) di epoche diverse disponibili per il territorio indagato. Le categorie considerate sono: aree urbane, zone agricole, bosco, arbusteto, aree aperte (malghe e radure circondate da aree boscate), pascoli sopra il limite della vegetazione, macereti e ghiaioni.

In una seconda fase, si è proceduto con una fotointerpretazione delle intere superfici contenute in 7 aree campione individuate nell’area di studio, coincidente con il territorio dell’area protetta più una zona ad esso circostante ampia 5 km (e ricadente nella Provincia Autonoma di Trento).
Con il termine fotointerpretazione si intendono tutte quelle operazioni che riguardano la codifica delle forme del territorio (naturale e antropico) attraverso l’analisi di immagini aeree. Per l’indagine sono state utilizzate le ortofoto relative ai voli aerei del: 1973 (primo volo aereo disponibile: risoluzione del pixel di 1 metro), 1994 (mappa relativa al periodo intermedio rispetto all’arco temporale considerato: risoluzione del pixel di 1 metro), 2011 (ultimo volo aereo disponibile: risoluzione del pixel di 0.5 metri).
Per quanto riguarda i rapporti tra il paesaggio e la fauna, dapprima sono state calcolate, per le aree potenzialmente idonee alla presenza di capriolo, gallo cedrone e gallo forcello, i valori altitudinali minimi, massimi, medi, mediani e le quote più e meno rappresentate. Quindi è stata effettuata un’analisi della distribuzione storica e dei trend delle popolazioni nell’intera area di studio del presente progetto per le specie sopra citate e per lepre bianca e lepre comune. Integrando tali valutazioni con informazioni relative all’ecologia delle specie reperite tramite una mirata ricerca bibliografica, sono state date indicazioni relative al rapporto tra specie e ambiente.
Le analisi effettuate nell’ambito dello studio hanno permesso di descrivere i cambiamenti quantitativamente e qualitativamente importanti che sono avvenuti nel corso degli ultimi 40 anni nell’area del Parco Naturale Adamello Brenta e nelle zone ad esso circostanti. Tali cambiamenti sono il prodotto di mutamenti socio-economici di grande rilevanza. Le modificazioni registrate e quantificate hanno interessato non solo le percentuali delle diverse classi di uso del suolo, ma anche la struttura stessa dei singoli ambienti e il complesso mosaico da essi creato.
Come prevedibile, questi cambiamenti hanno avuto una differente importanza sia a livello delle differenti fasce altitudinali rappresentate sul territorio, sia relativamente al diverso grado di sfruttamento antropico dell’area considerata.
Generalmente il mutamento delle componenti ambientali analizzate determina conseguenze importanti per le specie prese in esame, che nel loro complesso risultano negativamente influenzate da questi. In sintesi, i principali cambiamenti registrati hanno riguardato un aumento pari al 7.59% per la classe di uso del suolo classificata a “Bosco”, del 2.41% per le aree classificate come “Arbusteti” e dello 0.89% per le “Zone urbane”. Per contro, è da segnalare un decremento per le “Aree aperte” (-4.24%), per i “Pascoli” (-3.15%), le “Zone agricole” (-2.11%) e le aree con “Ghiaioni e macereti” (-1.28%).
In particolare, dall’analisi effettuata è facilmente apprezzabile che il cambiamento più importante nella regressione delle aree aperte si sia verificato al di sotto del limite della vegetazione arborea (-11.61% complessivamente tra aree a bassa e media quota), con un corrispondente forte incremento delle aree boscate (+18.45%). L’aumento delle aree arbustive è invece risultato a carico soprattutto delle aree di alta quota (+4.48 %).
Di assoluto rilievo è anche l’incremento della copertura arborea delle zone classificate a “Bosco” nel 1973 che è risultato pari al 7.76% (copertura arborea pari al 50.07% nel 1973 e al 57.83% nel 2011). Inoltre, le modificazioni nelle aree dove la presenza antropica si rileva solo nelle aree urbane di fondovalle ed in quelle dove la presenza dell’uomo si avverte anche in alta quota hanno mostrato le stesse tendenze.

La stessa cosa però non vale per le tempistiche con le quali questi cambiamenti si registrano: nelle aree altamente antropizzate i cambiamenti sembrano essere di pari entità tra il 1973 e il 1994 e tra il 1994 e il 2011, mentre nelle aree a basso grado di antropizzazione il grosso cambiamento si registra tra il 1973 e il 1994, mentre nell’ultimo ventennio non si registrano modifiche di grande entità.
Circa le relazioni esistenti tra l’evoluzione dell’ambiente del Parco e la presenza delle specie considerate (capriolo, gallo cedrone, gallo forcello, lepre comune e lepre bianca), va sottolineata la difficoltà emersa nel tentativo di operare tali confronti che è riconducibile a due fattori: da un lato i dati di dinamica di popolazione non sono raccolti con lo specifico obiettivo di correlarli alle modificazioni ambientali e, dall’altro lato, è stata verificata una loro scarsa attendibilità.
In merito alle dinamiche in atto, non è sicuramente pensabile invertire la tendenza di queste modificazioni su larga scala per ragioni da un lato economiche e dall’altro logistiche, visto che questo comporterebbe sforzi prolungati nel tempo e interventi su scala estremamente ampia. È però possibile, per situazioni specifiche, individuare delle prassi gestionali che rendano più favorevoli gli ambienti modificati rispetto alle esigenze ecologiche di alcune specie prese in esame. Un esempio può essere costituito da prescrizioni di taglio del bosco più favorevoli al gallo cedrone perché indirizzate ad aumentare lo spazio fra gli alberi e quindi a diminuire la densità dei boschi maturi. Un ulteriore esempio di gestione delle aree sopra il limite della vegetazione potrebbe prevedere azioni di diradamento delle aree arbustive, misura che comporterebbe un miglioramento sia dal punto di vista della disponibilità alimentare, che di difesa dai predatori per la lepre bianca. Parimenti il grave problema della perdita di aree di pascolo in media montagna può essere parzialmente attenuato incentivando, anche attraverso gli attuali regolamenti comunali tutti i possessori di immobili rurali e non situati entro tale fascia, a contenere la chiusura delle aree aperte.
Nel complesso però è necessario accettare la nuova situazione determinatasi e adattare le politiche gestionali delle diverse specie, incrementando, ad esempio, i prelievi nei confronti di specie favorite da ambienti boschivi uniformi (come il cervo) e moderando quelli a carico di specie, come il capriolo, che risultano indiscutibilmente sfavorite dalle modificazioni in atto.
L’articolo è stato scritto assieme a Roberta Chirichella e Marco Apollonio, del Dipartimento di Scienze della Natura e del Territorio dell’Università di Sassari
Foto in testata di Michele Zeni, archivio Pnab