di Massimiliano Pilati
12 anni, ancora due interi mesi di vacanze estive davanti. Sono in montagna, sull’altopiano della Paganella, dove la mia famiglia ha un piccolo appartamento. Qualche compito, interminabili giri in bicicletta, partite di pallone, avventure nei boschi, quella splendida sensazione di avere “l’estate addosso” e la spensieratezza di essere ragazzini e di passare interminabili giornate tutte splendidamente uguali.
Poi in una calda giornata di luglio qualcosa di diverso, Gabriele, il vicino di casa, porta un videogioco, uno di quelli da attaccare alla tv. Una novità assoluta per me e mio fratello. Serve un televisore e mia madre ci presta quello vecchio, in bianco e nero, che abbiamo in casa. Subito ci immergiamo nei videogiochi con delle sfide con un gioco tipo formula 1. Poco dopo, nel bel mezzo di questo nuovo divertimento arriva mia madre con un’espressione preoccupata: “ho sentito alla radio che è successo qualcosa in Val di Fiemme, smettete di giocare che guardiamo cosa è successo in tv…”. Me lo dice mentre sto portando al limite le mie splendide capacità di pilota di formula 1, è un attimo, mi distraggo e GAME OVER…
“Uffa, mamma… che scocciatura!”
Appena colleghiamo la tv subito mi passa il broncio e mi sento anche in colpa per aver pensato di voler continuare coi videogiochi. In quella vecchia tv in bianco e nero passano le prime immagini da Stava, in Val di Fiemme… era il 19 luglio 1985.
Il 19 luglio 1985 alle ore 12,22 i bacini di decantazione della miniera di Prestavel ruppero gli argini scaricando 160.000 m³ di fango sull’abitato di Stava, piccola frazione del comune di Tesero, provocando la morte di 268 persone. L’argine del bacino superiore cedette e crollò sul bacino inferiore che cedette a sua volta. La massa fangosa composta da sabbia, limi e acqua scese a valle a una velocità di 90 chilometri all’ora spazzando via persone, alberi, abitazioni e tutto quanto incontrò fino a che non raggiunse la confluenza con il torrente Avisio.
Come fu possibile questa immane tragedia?
La miniera di Prestavel è situata sulle pendici meridionali del monte Prestavel sovrastante la valle di Stava. Venne sfruttata fin dal XVI secolo per la produzione di galena argentifera. Nel 1934 si cominciò ad usarla in maniera intensiva per l’estrazione di fluorite. Dopo la seconda guerra mondiale fu gestita dalla società Montecatini, alla quale subentrarono fino al 1978 società del gruppo Montedison e quindi dei gruppi EGAM ed Eni. Dal 1980 al 1985 fu gestita dalla società Prealpi mineraria. Per esigenze tecniche nel 1961, sopra l’abitato di Stava, venne costruito il primo bacino di decantazione, dove veniva fatto decantare il materiale di scarto della miniera. Dal 1969 fu realizzato un secondo bacino di decantazione, a monte del primo. Complessivamente, negli anni (e in maniera sciagurata) tra bacino inferiore e superiore si arrivò a quasi 50 metri di argine.
Dopo il crollo e lo sforzo sovrumano dei soccorsi scattarono subito gli accertamenti per capire le cause della tragedia e trovare eventuali colpevoli. Gli accertamenti dei tribunali (grazie anche agli sforzi degli avvocati delle vittime) stabilirono che in oltre 20 anni le discariche non furono mai sottoposte a serie verifiche di stabilità da parte delle società concessionarie o a controlli da parte degli Uffici pubblici competenti (in questo caso Distretto Minerario della Provincia Autonoma di Trento).
Fece molto scandalo l’apprendere che, in precedenza, nel 1974 il Comune di Tesero chiese conferme sulla sicurezza della discarica. Il Distretto minerario della Provincia Autonoma di Trento incaricò della verifica di stabilità la stessa società concessionaria (la Fluormine, appartenente allora ai gruppi Montedison ed Egam), che la effettuò nel 1975. Vennero trascurate una serie di indagini indispensabili ma ad ogni modo venne scritto che la pendenza dell’argine del bacino superiore era «eccezionale» e la stabilità era «al limite». Nonostante questo la risposta della Fluormine al Distretto minerario e di questo al Comune fu positiva e portò all’ulteriore accrescimento dei bacini.
La Commissione ministeriale d’inchiesta ed i periti nominati dal Tribunale di Trento accertarono che “tutto l’impianto di decantazione costituiva una continua minaccia incombente sulla vallata. L’impianto è crollato essenzialmente perché progettato, costruito, gestito in modo da non offrire quei margini di sicurezza che la società civile si attende da opere che possono mettere a repentaglio l’esistenza di intere comunità umane. L’argine superiore in particolare non poteva che crollare alla minima modifica delle sue precarie condizioni di equilibrio.”.
La causa del crollo venne quindi individuata nella cronica instabilità delle discariche, ed in particolare del bacino superiore, che non possedevano coefficienti di sicurezza minimi necessari a evitare il franamento.
Il procedimento penale si concluse nel giugno 1992 con la condanna di 10 imputati dei reati di disastro colposo ed omicidio colposo plurimo e cioè: i direttori della miniera e alcuni responsabili delle società che intervennero nelle scelte circa la costruzione e la crescita del bacino superiore dal 1969 al 1985, i responsabili del Distretto minerario della Provincia Autonoma di Trento che omisero del tutto i controlli sulle discariche.
Vennero inoltre condannate al risarcimento dei danni in veste di responsabili civili per la colpa dei loro dipendenti le società che nello stesso periodo ebbero in concessione la miniera di Prestavel o intervennero nelle scelte relative alle discariche (Montedison Spa, Industria marmi e graniti Imeg Spa per conto della Fluormine Spa, Snam Spa per conto della Solmine Spa, Prealpi Mineraria Spa) e la Provincia Autonoma di Trento.
Come spesso accade in queste tragedie, al di là delle azioni ed omissioni penalmente rilevanti, concorsero al disastro di Stava una serie di comportamenti che vanno oltre la sfera giuridica e si caratterizzarono principalmente nell’aver anteposto alla sicurezza dei terzi la redditività economica degli impianti sia da parte delle società concessionarie che degli Enti pubblici istituzionalmente preposti alla tutela del territorio e della sicurezza delle popolazioni.
Il 19 luglio ricorre, per noi italiani, un altro grave fatto: l’attentato mafioso al giudice Borsellino avvenuto nel 1992. A noi trentini, che viviamo fortunatamente in una zona sostanzialmente libera da influenze mafiose, deve restare perenne il monito della tragedia di Stava. Non avremo gli omicidi, non avremo il racket mafioso, non avremo i taglieggiamenti e la commistione mafia/politica purtroppo presente in altre regioni, ma è successo anche da noi che si antepongano gli interessi economici alla vita umana e alla salvaguardia del territorio. La negligenza, la noncuranza e l’arroganza manageriale hanno portato a 268 morti in una nostra splendida valle. La risposta a questo non può che essere la nostra costante presenza a vigilare sui meccanismi che regolano la convivenza democratica.
Sono passati 30 anni da quei fatti e ancora oggi il primo pensiero quando sento parlare di Stava torna a quella tv in bianco e nero che passò di colpo dal divertimento di un videogioco al paesaggio lunare della Valle di Stava devastata, la spensieratezza dei miei 12 anni bruscamente interrotta quel giorno da quei 160.000 m³ di fango.
Foto Archivio digitale Fondazione Stava 1985 (la fotografia del cane da ricerca fu scattata dalla Guarda di Finanza)
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